lunedì 19 luglio 2010

locandina

Locandina dell'Edizione XIII
Macchia Blues 2012


Locandina 2011 
XII edizione



Locandina dell'edizione XI,
Macchia Blues 2010

La locandina dell'edizione undicesima, composta da Manuel Malatesta, propone una delle prime raffigurazoni anonime sulle worksongs risalente al 1780.

L'abbiam trovata appropriata alla tematica del blues come canto di lavoro perchè ne figura in pieno la semantica, offrendo un aiuto alla comprensione di quanto la vita dei deportati si fosse sviluppata intorno all'ausilio della musica come affermazione del tragico: il vivere nei regimi forzati della convivenza con il lavoro imposto, come invocazione del lontano spirito di casa: il tormentato blues, e come organizzazione dei pressanti ritmi lavorativi.
Eppure l'immagine testimonia, forse più che del lamento, di un residuo della giovialità con la quale, presumibilmente, si danzava secondo gli usi e costumi originari delle popolazioni africane. Non v'è traccia infatti d'un padrone bianco, vi é però forse la bianchezza del figuratore, essendo l'occhio pittorico evidentemente bianco, sia per tecnica che gradazione.
Accanto al tamburello: il banjar, strumento originario dell'area etno-geografica del Senegambia, dalla quale venne prelevata la maggior quantità di carico negriero nella seconda metà del XVIII secolo, e progenitore del riadattato banjo a cinque corde.
La disposizione dei danzatori (apparente contrapposizione tra suonatori maschi più danzatore con bastone, a destra e danzatrici con velo, a sinistra) divide le funzioni dei partecipanti in un trittico di cui il maschio con bastone rappresenterebbe la figura intorno alla quale grativa l'accerchiamento protettivo e l'istigazione al movimento delle donne con velo.
In atto è dunque un rituale di corteggiamento, dal quale la coppia in alto a destra potrebbe essere fuoriuscita. Di più certa interpretazione la geografia del panorama alle spalle dei musici in primo piano, raffigurante l'ambiente campestre con i filari di casolari rurali in legno destinati ai loro coltivatori, riunitisi in una piazza aperta tra le abitazioni per giocare il blues.

Al di là delle possibilità descrittive, resti l'essere quest'anonima figura una celebre testimonianza dell'esistenza, fin dal XVIII secolo, non solo di una praticata usanza musicale presso i lavoratori delle piantagioni, ma soprattutto della consapevolezza di quest'usanza come parte integrante i ritmi di vita dei coltivatori.

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